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Generazione Erasmus. Un libro Oaks di Paolo Borgognone

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di Francesco Brusori

[Paolo Borgognone, Generazione Erasmus: i cortigiani della società del capitale e la “guerra di classe” del XXI secolo, OAKS Editrice, 2017]

Generazione Erasmus COVER

Non è la prima volta che mi trovo a proporre pubblicamente una recensione letteraria. Per Filosofia e Nuovi Sentieri (FeNS) ho potuto infatti curare diverse pubblicazioni di questa natura. Tuttavia, diversamente dal passato, ci tengo a formulare una breve chiosa iniziale per amor di chiarezza e per non tradire quell’onestà intellettuale che apprezzo in molti intellettuali di personale riferimento e che cerco sempre di rispettare nel mio modesto lavoro, in prima persona. Dunque, rispettosamente sia nei confronti dei lettori, non meno che dello stesso autore di quest’opera, e anzitutto di me stesso, vorrei fissare alcuni punti introduttivi che determineranno non l’esposizione contenutistica, quanto più quella formale del mio intervento. Ho letto con interesse l’elaborato assai documentato di Borgognone sapendo fin dall’inizio di non approcciare certo un lavoro che avesse le mie medesime posizioni filosofiche, politico-sociali – nel senso più generale possibile –, nondimeno l’obiettivo vocazionale che molto umilmente perseguo non solo nella collaborazione portata avanti con passione con la rivista FeNS, ma anche nella vita è il comprendere. Per dirla à la Spinoza: “né piangere né ridere, il comprendere”. Ragion per cui non disdegno affrontare letture lontane dalla mia prospettiva, la quale va formandosi a fronte della mia esperienza singolare, e di studio e di vita materiale. Alla luce di questa generale e vincolante condizione a cui rispondo desidero quindi portare in superficie, con questa mia recensione, il contenuto che l’Autore ha obiettivamente curato e dettagliato. Ovviamente, soltanto gli snodi maggiori della trattazione Generazione Erasmus entro i confini di una contenuta recensione. Detto ciò, però, verrei meno alla mia soggettività non solo in qualità di lettore, bensì pure di persona pensante – o che almeno tenta di esserlo – qualora non mi ponessi con sincerità in dialogo con quanto letto e, mediatamente, con l’Autore. Così, al fine di tenere insieme queste diverse volontà senza fare confusione, proporrò un’esposizione nella quale quel poco che per spazio posso dire per definire alcuni miei pensieri ‘per contro’ o ‘in linea con’ le idee dell’Autore sarà opportunamente evidenziato come tale, ossia in quanto ‘personale’ e che non deve risultare per il lettore come uno statuario movente per declassare l’intero componimento letterario.

L’Autore del volume presenta immediatamente il sistema Erasmus come un sintomo sostanziale di un ideologico Pensiero Unico vigente. Già nella Prefazione di Francesco Borgonovo, l’Erasmus viene descritto come il logico – secondo una logica perversa – prodotto dello «internazionalismo progressista e capitalismo sfrenato». In altri termini, soltanto «una delle tante declinazioni della cultura della mobilità» [p. 10]. Il quadro della trattazione è dunque massimamente chiaro. Qui, però, mi permetto di introdurmi, per la prima volta, con l’obiettivo di denunciare quello che, a mio modo di vedere e di vivere questo mondo globalizzato, risulta essere una totale estremizzazione nonsense che rasenta, moralmente, l’indecenza e, intellettualmente, la follia. Si legge infatti:«Se Valeria Solesin è morta, se Fabrizia Di Lorenzo è finita nel novero dei dispersi, è colpa di questa assurda ideologia dello spostamento di massa» [p. 11]. Ora, non solo mi sembra – può essere pure che sbagli – molto irrispettoso e quantomeno poco decoroso imbastire ragionamenti sulle vittime di atroci attacchi contro la vita, tra i quali il terrorismo, ma in aggiunta ritengo con fermezza che pretendere di discutere seriamente, mostrando le proprie ragioni a partire da un commento ex post su uno stato di fatto obiettivamente imprevedibile quale è la morte di un individuo in generale, e ancor più la morte violenta del tutto innocente, lascia davvero esterrefatti. Ciò mi parrebbe ammissibile, semmai, qualora volessimo adeguarci al livello di una chiacchiera da bar, ma un volume di più di 500 pagine che si promette di offrire un’analisi seria, documentata e critica per mano di un valido studioso non è certo il luogo adatto. Quindi, confessando di poter essere pure d’accordo, in potenza, con una istanza critica verso lo status quo, ci tengo a chiarire l’importanza, scanso invalidare qualsiasi critica, di mantenere una conduzione del discorso entro termini corretti, o almeno umani.
Procedendo comunque oltre, si legge come Borgognone ragioni accuratamente intorno alla negativa tendenza che la mobilitazione di massa Erasmus come «unificazione nichilistica delle mentalità» [p. 14] dischiude: l’annichilimento o la reductio ad unum di ogni limite definente le molteplici entità del Globo. Un Mondo sempre più calpestato, a discapito delle differenze anche sostanziali, da un uomo antropologicamente nuovo: «uomo mercantile illimitato», vessillo incarnato del liberalismo e liberismo portati agli estremi. In seguito alla nietzschiana Morte di Dio è avvenuto invero il dispiegamento di un capitalismo assoluto, privo di remore e confini, nell’oceano del quale è affondata ogni pretesa opposta di caratura comunista, quand’anche più o meno utopica. Persino lo Stato, con i suoi confini, finisce per risultare obsoleto: da superare attraverso un mutamento non solo politico, bensì antropologico, che in virtù di una vocazione (inemendabile) comunistica attesti l’esistenza di un homo novus del tutto piegato su se stesso. Tutte le nuove dinamiche capitalistiche assolute non incentivano altro che una «evoluzione egoistica», brutalmente individualistica nell’ottica di un maggiore piacere conquistabile. Paradossalmente, sul piano storico, il liberalismo tanto quanto il comunismo, per quanto contrastanti, pare che non possano che manifestare una «adesione al dogma economicistico e produttivistico della modernizzazione» [p. 24]. Un comune fondamento, per l’Autore, che ne detta il rispettivo suicidio politico. La Destra storica di stampo conservatore (antiliberista in economia) arriva a ricoprire al giorno d’oggi la funzione di Destra Liberal-Perbenista a guida «americana». E le istanza di una politica conservatrice slittano verso l’estremismo di Destra, in movimenti Nazional-Populisti, che divengono in concreto «valvole di sfogo politico-elettorale» [p. 29]. Dalla sponda della Sinistra, invece, le organizzazioni tradizionalmente Progressiste, perdendo aderenza sul territorio, approdano addirittura a una politica Centrista e Liberaldemocratica. Tale smottamento del panorama politico-sociale a livello europeo – e in buon parte mondiale – va ricondotto all’avvenimento nefasto di una globalizzazione liberale affrettata sui tempi oltreché sui modi. E così, puntualizza a ragione l’Autore, si è sedimentata una free market democracy.
Fulminea e puntuale è poi ancora la critica che Borgognone rivolge all’ideologica presa di posizione del politically correct. Che può intendersi come un coacervo di mero femminismo postmoderno, vacue politiche gender e di una buona dose di vuota retorica del giovanilismo. Anche qui, «un progetto di ingegneria antropologica» [p. 96]. Tutto, insomma, a supporto della pseudo-cultura della mobilità planetaria sospinta dal capitalismo assoluto – incontrollato poiché incontrollabile.
Dopodiché la trattazione della questione Erasmus si dettaglia sempre più e l’Autore arriva a sostenere che il ‘giovane’ partecipante di questo programma europeo – ancor prima che occidentale – si riduce fondamentalmente a «galleggiare» nel bel mezzo di un continuo e assai fruibile svago no stop. «Ora i giovani italiani possono rimbalzare da un capo all’altro del mondo usufruendo di voli a basso costo e immediata reperibilità, ma sono al 60 per cento disoccupati» [p. 141], scrive Borgognone in sintesi.
A mio modestissimo modo di pensare però, anche in relazione alla complessità delle dinamiche del mondo contemporaneo, è già di per sé alquanto infondato qualsiasi tentativo ‘semplicistico’ di raccogliere sommariamente sotto categorie general-generiche particolari eventi e/o espressioni tanto quanto singole esperienze. In linea con ciò, per esempio, dubito molto della possibilità di parlare del ‘giovane’ – in termini assoluti come se si parlasse di tutti e quindi di ciascuno – che, prendendo parte al progetto Erasmus, è quasi ‘destinato’ a perdersi tra i divertimenti a lui offerti dai contesti cittadini internazionali, tra movida e attrazione. Da studente che ha passato diversi mesi di studio in Germania, io posso infatti registrare non solo la mia personale esperienza, ma addirittura quella di molti altri coetanei che hanno coraggiosamente investito mesi o anni della loro unica esistenza a sforzarsi di migliorare la propria condizione professionale e di aumentare le proprie conoscenze. Tutto all’interno di un rispettoso e stimolante incontro tra culture diverse, in un contesto di serio impegno nel quale ciascuno si introduceva con le proprie ricchezze e peculiarità. Pertanto credo che di fronte a queste pretestuose categorizzazioni molto spesso «l’esperienza grida a gran voce» (Hume). È sempre il singolo, insomma, a essere chiamato a decidersi in rapporto alle possibilità offertegli; la libertà, anche per i giovani odierni, non significa univocamente e soltanto divertimento scatenato. Ecco perché penso che il ‘generale’ lasci molto spesso il tempo che trova per riflettere su esperienze così varie.
In secondo luogo, poi, mi sembra che l’Autore tra queste poche parole, segnatamente in una frase, abbia voluto creare una tensione ad hoc – costruzione riproposta anche in altri luoghi dello scritto per altre argomentazioni – che, stilisticamente suona assai bene, ma che sul piano del contenuto lascia molto a desiderare. Infatti sic stantibus rebus per quanto riguarda il tasso di disoccupazione, tuttavia v’è da ricordare che questi non deriva matematicamente dalla maggiore mobilità dei giovani: si tratta di tenere distinte non solo le cause, ma anche i sintomi. Sulla disoccupazione dovrebbe agire la politica, o meglio la buona politica a livello nazionale, e nulla ha a che vedere il progetto Erasmus, che fino a prova contraria penso proprio che non produca sistematicamente disoccupazione. Anzi, la maggiore e più affinata formazione professionale o accademica che l’Erasmus consente di intraprendere, qualora scelto, può aumentare le possibilità occupazionali proprio per il ‘giovane’ che abbia voglia di impegnarsi seppure lontano da casa. Insomma, mantenere vivide le differenze tra gli argomenti, senza mescolare tra loro le cause, permette di comprendere meglio le sfaccettature delle problematiche contemporanee: bene è dunque non offuscarsi la vista credendo di imputare all’Erasmus la crisi economica italiana. Il passo infatti è breve e i luoghi ambigui in questo volume sembrerebbero diversi.
Inoltre mi trovo a dissentire pure in riferimento all’attitudine – già di Diego Fusaro – di intendere l’Erasmus come la nuova Naja, giacché a mio avviso esso pone sì in essere possibilità di movimento e incontro, ma non obbliga e non deporta di certo nessuno. Poi ciò non toglie il fatto che qualcuno, privo di senno, possa e voglia addirittura fare professione di fede nei confronti del «culto idolatrico della mobilità» [p. 135] e cadere così in un altro estremismo. Un problema da affrontare politicamente, a livello nazionale e con la forza di investimenti sistemici, è quello dei “Cervelli in fuga”, non v’è dubbio alcuno. E qui si pronuncia correttamente Borgognone. Ma anche in questo caso la radice del problema – si ricordi! – è italiana: è l’Italia che non ha gestito e non gestisce la disoccupazione latente dei giovani. L’Europa, qui, non c’entra nulla. Di nuovo.
Sulla questione più prettamente europea, breviter, l’Autore riconosce l’Unione Europea come una «invenzione geopolitica statunitense in chiave antisovietica» [p. 26]. E questo è puro realismo, che non desta grossomodo alcuna manifestazione di stupore, dato che l’idea politica dell’Europa è da ricondurre al clima di belligeranza aperta della Seconda Guerra Mondiale e continuato sotto mutata specie durante la Guerra Fredda. Allo stesso modo e in funzione antiamericana si potrebbe ricordare che tutta la parte Est dell’attuale Unione Europea fu compattata dall’URSS secondo un’inventiva fondamentalmente politica. Così, invero, si sono venuti formando i Blocchi tradizionali: nihil sub sole novi. Il vero problema da focalizzare è a posteriori rispetto a tale genesi. Ovverosia, come spiega Borgognone, l’Europa negli ultimi anni si è ridotta a essere il campo aperto di un dispiegamento assoluto del mercato finanziario. Questo è evidentemente condivisibile. Però anche tale evento, secondo me, non è deducibile dal destino dell’Europa in sé e per sé. È sic et simpliciter, invece, il frutto di un’errata gestione politica e in Europa finora la politica la fanno gli Stati membri, ognuno dei quali insegue il proprio tornaconto, poiché manca una politica davvero comunitaria, europea che abbia la forza di contrastare questo trend contemporaneo.
È sempre per questa intima deficienza politica europea che pure i flussi migratori contemporanei si attestano come «un paradigma proprio delle logiche capitalistiche di sradicamento e sfruttamento globali, della delocalizzazione» [p. 174] di matrice occidentale. Evidente è infatti la totale incuria politica da parte del mondo occidentale nei confronti dei popoli africani, nonostante l’insegnamento della storia: i popoli che hanno fame sono soliti vincere sempre.
Al ventre europeo Borgognone riconduce negativamente anche il gruppo-lobby LGBT, dacché esso esprime una vocazione transnazionale e globalista, per contro agli Stati nazionali. Nondimeno bisogna anche su questo punto ricordare, a mio avviso, che il diritto è per l’Essere umano, non per lo Stato. Perciò la volontà di vedersi riconoscere dei diritti – più o meno fondati, su ciò se ne può discutere – travalica naturalmente i confini nazionali: è fisiologico. Ciò detto, ovviamente, al di là del Bene e del Male. E quindi i vari Stati si trovano nella problematica condizione reale di mediare con questi gruppi ‘progressisti’. Soltanto questo tentativo di mediazione, talvolta più o meno riuscito, consente di raggiungere un compromesso tra le due parti in causa ed evitare derive anarchiche o autoritarie sia da parte di tali gruppi – come denunciato da Borgognone stesso – che da parte dello Stato stesso.
Sul piano eminentemente politico, o meglio della ideo-logia, l’Autore fornisce in un amplio spazio un’analisi impeccabile del variopinto movimento marxista, visto a giusta distanza da quanto invece Marx in persona ha avuto modo di scrivere: ogni ‘-ismo’ va sempre onestamente problematizzato. Altrettanto acuto è lo studio proposto del ‘marasma’ mediorientale, con riconosciute colpe americano-centriche. Politica, quella americana, che ha preteso di definire una vera e propria ideologia democratica pronta per essere esportata con armi e bombe di ultima generazione.
Questa corretta critica delle strategie politiche americane tuttavia non riesce a portarmi a condividere una posizione filo-russa così radicale quale quella a cui invece sembra pervenire il discorso di Borgognone nel solco ‘fusariano’. Al di là di una becera caccia alle streghe e contro l’America e contro la Russia, ritengo infatti che sia più utile, invece che pronunciarsi ancora una volta genericamente, riflettere sui singoli contenuti. Con tutto il rispetto per la Russia, farei comunque fatica a denigrare di fronte ad essa, ad esempio, il tradizionale scambio culturale, sociale e politico – tanto attaccato dall’Autore – che è avvenuto sostanzialmente sul suolo europeo dall’epoca delle città medievali in poi. Un luogo di ricco confronto, tutto europeo, che era in grado di sopravvivere addirittura a guerre aperte. Infatti non si dimentichi che mentre si combatteva nel 1571 la battaglia di Lepanto contro i Turchi, a Venezia si continuava ad avere, pacificamente, un fervido legame con la cultura mercantile araba nel Fondaco dei Turchi. La storia russa è quasi incomparabile sinteticamente con quella europea per le difformità assai peculiari che essa presenta. La Russia ha sempre avuto, per esempio, un potere estremamente accentrato che non ha mai cessato di rinsaldare un attaccamento tra territorio e autorità fin dalla storia della servitù della Gleba: completamente agli antipodi rispetto alla tradizione europea. Di certo non si tratta, che piaccia o meno, di una storia plurale tanto quanto quella europea, ove la borghesia moderna ha lottato contro il controllo statuale accentrato per guadagnare una maggiore autonomia di iniziativa. Inoltre, sorvolando un po’ sullo stato odierno della situazione politica russa per quanto mi è consentito in questo breve spazio, mi sembra proprio cha la Russia non rappresenti affatto un paese totalmente democratico, dati, da un lato, gli arresti politici effettuati da Putin e, dall’altro, la corsa anche russa all’accaparramento capitalistico. Specificamente non v’è alcuna sostanziale differenza sul suolo economico e di politica economica tra Russia e America. Sono entrambe due Super-potenze preoccupate per la loro conservazione e concentrate al contempo sul loro sviluppo politico-economico ad infinitum. Credo sia inutile denigrare spietatamente gli interessi americani e applaudire alla Russia solo per il fatto di osteggiare i primi, limitandone i vettori. È sempre un contromovimento involontario tra le due Potenze, non certo perseguito per salvezza del policentrismo ideologico o democratico. Pertanto una critica vera dovrebbe rivolgersi a entrambe queste entità politiche, essenzialmente “egocentriche”, con l’obiettivo di evidenziarne e denunciarne gli eccessi, punto per punto.
Detto ciò e scusandomi per aver toccato solo con brevi battute e parzialmente pochi luoghi e argomenti della lunga trattazione del volume, mi permetto di sintetizzare una personalissima valutazione a carattere puramente regolativo. Mi preme infatti sostenere positivamente lo studio accurato e ricco di fonti proposto da Borgognone, che va a definire un’istruttiva critica fuori dal coro mass-mediatico utile per avere una visuale più completa possibile sul contemporaneo, stante però certo il mio dissenso in riferimento a diverse pieghe che il discorso finisce per prendere alla luce della volontà di leggere le infinite e complesse dinamiche mondiali attraverso l’utilizzo prevalente di solo poche e riproposte chiavi di lettura. Utilizzo monocolore, questo, (a prescindere dalle tematiche) che spesso arrischia il discorso presso il confine con la esagerata e mistificatoria semplificazione, quasi sulla falsariga della retorica altrettanto semplicistica di coloro che non vorrebbero proprio invece vedere mossa alcuna critica verso lo status quo. Quindi, per quanto mi riguarda, ben venga universalmente la critica in toto particolareggiata e minuziosa – che pretenda da sé una spietata attenzione -, giacché nietzschianamente  «tanta diffidenza, altrettanta filosofia» (FW).


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